Fatale è il dubbio
Quasi alla fine della performance, urlata dal poetastro sul piedistallo improvvisato del pub, una voce maschile disse con sarcasmo, alle mie spalle:
“E il cane abbaiò la sua storia.”
Mi voltai ridendo, ma dietro di me, seduta nello sgabello vicino, presso il bancone del bar, c’era soltanto uno schianto di donna bruna, con un tailleur nero, le calze a rete, le scarpe coi tacchi altissimi, un nastrino rosso al collo, a reggere un ciondolo firmato. Un tipo alla Natalie Wood, come avrebbe potuto convenire solo chi avesse condiviso con me la passione per i vecchi films americani.
“E’ un povero poeta minore. – osservai, accennando al pulpito – Si difende come può. Urlando cattura l’attenzione. Succede anche in politica…”
Lei aprì la bocca e rispose, con la voce di suo fratello: “In politica almeno, quasi sempre, ci sono i soldi in ballo. Qui c’è solo l’apparire.”
La voce di prima, maschile, effeminata, con delle inflessioni vellutate, suadente e priva di incertezze. A quei tempi mi piaceva arrivare ai bordi del mondo conosciuto, per guardare lo spettacolo, senza toccare. Intanto le guardai le mani, decisamente femminili, poi i lineamenti deliziosi del viso, illuminati dalle luci forti collocate sopra il banco del bar, quasi fosse il viadotto delle mescite. Sulle sue guance non c’erano i buchi della barba riempiti dal cerone, anche perché il trucco si limitava al mascara delle ciglie e a uno strato non eccessivo di rossetto.
Disceso dal palco il poeta urlante, vi salì una chiatta donnina che si ammantava di uno pseudonimo maschile e che attaccò, al solito, la sua tiritera ritmata, a guisa di cantilena; uno sfavillìo sotto il quale ristagnavano banalità.
La voce maschile della donna presunta disse: “Qui invece abbiamo uno spot efficace per lanciare un detersivo da lavatrice.”
“Chi ci dice che non la paghino già per questo?”
“E a noi chi ci paga per stare qui?” lei ribatté.
Il dado era tratto, ma io restai con gli occhi incollati al mio bicchiere mezzo vuoto. In quel momento qualcuno mi chiamò e mi voltai verso Fabio Gizzi, l’editore dei poeti che si pagano le loro pubblicazioni, fermo in piedi, vicino a quattro persone sedute a un tavolo. A suo modo Fabio svolgeva un’opera meritoria, usando i soldi dei sedicenti vati per pubblicare anche sillogi dimenticate di importanti poeti dell’est europeo. Lo salutai con un cenno, ma lui guardò per prima la mia misteriosa vicina, dicendo a voce un po’ alta, data la distanza: “Ciao Carla.”
A me invece fece un saluto con quel gesto classico della mano che vuole rimproverare simpaticamente.
“Fabio ci ha quasi del tutto presentati. – lei disse – Non resta che il tuo nome per poterci allontanare da questi parolai.”
“Mi chiamo Marco.”
“Ciao Marco.” lei disse, ridendo.
La guardavo negli occhi, al fondo dei quali lessi una specie di mestizia, la stessa che del resto sorreggeva, come un servo coscienzioso, il baldacchino del suo sarcasmo.
“Allora si va?” lei disse.
“Il quartiere è pieno di posti, e se non bastassero, si può andare benissimo oltre.”
“Ecco il mio sport preferito: andare oltre.”
Invece, usciti da quella canea, trovammo a duecento metri di distanza un locale in cui si suonava jazz. Ci sedemmo a un tavolo e siccome l’uomo, forse, ero soltanto io, ordinai un whisky, contro la sua spremuta d’arancia. Mi lasciò pronunciare quasi tutto il copione, certo consapevole di avere una voce destabilizzante. Ci scoprimmo allievi, a un anno di distanza, dello stesso corso di sceneggiatura cinematografica e questo ci dette modo di ridere sui tic dei docenti, più o meno famosi. Mentre parlavo, di tanto in tanto, Carla si sforzava di non guardarmi, come se volesse frenarsi, o come se le piacesse riappropriarsi dopo un poco della mia presenza. Prendendo i bicchieri nello stesso istante ci sfiorammo le mani e io sentii un brivido corrermi lungo la schiena, mentre più in basso l’eccitazione giocava autonomamente la sua partita torbida.
“Hai una bella mano.” lei osservò.
“Anche tu.”
“Per non parlare della voce.” aggiunse, forse per provocarmi, forse per un tocco divino di autoironia.
Avrei potuto allontanarmi con un pretesto, telefonare al cellulare di Fabio Gizzi e farmi svelare il mistero. Lui l’aveva chiamata Carla, certo, ma poteva essere che sapesse della sua eventuale condizione di passaggio dal maschile al femminile e che quindi rispettasse la sua libertà sessuale, anche nei convenevoli. Desistetti, perché a quel modo l’avventura sarebbe scaduta in una commediola da serie B, che entrambi non meritavamo.
Il jazz, di lato, filava via suadente nel sax tenore, puntiglioso nel contrabbasso, frusciante nelle percussioni. Sembrava che tutto il contesto mi stesse preparando un atterraggio soffice, e del resto la sua risata suonava meno profonda della voce, come se lì la parte femminile riuscisse a spiccare un balzo e ad emergere, vittoriosa. Mangiammo un dessert e bevemmo ancora, parlandoci all’orecchio quando la musica toccava i suoi picchi. Poi finì il suonare e lo stare, e uscimmo in strada. Le accesi una sigaretta, e mentre andavamo verso la notte Carla mi prese il braccio con noncuranza, procurandomi un nuovo corto circuito. Lo dispersi nei passi, nella cordialità, in quella mia intraprendenza che, a forza di essere stuzzicata, mi stava spingendo verso arcani portali, con l’anima capovolta. Forse fu per istinto di sopravvivenza che trovai quella frase elegante.
“Mi spiace di non poterti accompagnare. Non ho la macchina.” le dissi.
“Vuol dire che ti accompagnerò io, con la mia.” rispose.
Salimmo su una spider rossa e non appena lei toccò il volante e mise in moto la sua parte maschile ribaltò la situazione, sfogandosi in una guida spericolata e abilissima, favorita dalle strade deserte. Non ci volle più di un quarto d’ora per arrivare sotto casa mia e lei, dopo aver spento il motore, mi guardò a lungo, continuando a tenere le mani appoggiate sul volante. Aspettò così che io muovessi l’ultima pedina, mentre io speravo ardentemente che le mie mani, bloccate dalla ragione, si muovessero da sole. Un minuto, forse due, poi Carla appoggiò la sua testa deliziosa sul volante, aspettando la carezza che avrebbe scatenato il paradiso.
Invece io dissi: “E’ stata una serata notevole. Sono stato veramente bene con te.”
Non rispose, né alzò la testa dal suo raccoglimento, forse per non ridermi in faccia. Aprii lo sportello prima che l’imbarazzo ci soffocasse nell’abitacolo e uscendo dissi “Ok, ci sentiamo.”
Quando misi la chiave nella serratura del portone lei era già sfrecciata via.
Mi ci volle tutto il giorno seguente per trovare Fabio Gizzi al telefono. Lasciai correre qualche convenevole, anche se il suo tono di voce mi sembrava più sornione che formale.
Ma alla fine dissi: “Senti, tu devi risolvermi un dubbio atroce.”
“Anche tu, direi.”
“In che senso, scusami?”
“Comincia tu, intanto” lui disse, ridacchiando.
“Va bene, mi hai visto con quella persona che pare tu conosca, ieri sera al pub.”
“Carla?”
“Certo. Sai, siamo andati un po’ in giro, e non ti nascondo che mi piaceva. Però, con quella voce lì…”
“Ti è venuto qualche dubbio, eh, mon ami?”
“Direi più di uno…”
Lui allora scoppiò in una risata irrefrenabile, e più cercavo di interromperlo più rideva di gusto. Aspettai in silenzio che gli passasse, anche per smontarlo, e quando lo capì disse. “Carla è femmina come dio comanda, ragazzo mio. Ha la sola disgrazia di una voce così. Tu non sai quanti le sbavano dietro, me compreso…”
“Immagino.”
“Immagini?” Ricominciò a ridere, ma per poco.
“La vuoi sapere una storia? – aggiunse – Stamattina lei mi ha telefonato, per cui so tutto di ieri notte. Le piacevi parecchio, sai? Si è pure stupita che non prendessi iniziative. – Molto affascinante quel tuo amico, -mi ha detto. – Peccato che sia così disarmato.. tu ne sai qualcosa? – E io di rimando; – Ti assicuro che Marco è un bruciafemmine, Carla. – E lei: – Le brucerà pure, ma forse a lui non fanno né caldo né freddo. –
poetella ha detto:
ragazzo!
Letto tutto di un fiato…
Per la prima volta cercando di vedere come andava a finire…
(non lo faccio mai! Cerco lo stile…le idee nuove…la scioltezza del prosare… ecc ecc…)
ma qui…a parte il resto, e quante belle immagini hai inserito! A parte il resto, dicevo…anche la storia!
WoW!
bravo!
poetella ha detto:
e sai che ti dico?
ti schiaffo pure su facebook. ..Così t’impari!
ioviracconto ha detto:
Ti ringrazio ancora, Poetella.
Io però non uso Facebook. E’ una scelta mia, che non implica giudizi, naturalmente.
Come avrai notato cerco di frequentare anche wordpress nella giusta misura.
🙂
ioviracconto ha detto:
In ogni racconto c’è una storia che tende a un esito, Poetella. A volte scorre sotterranea, o in trasparenza.
Qui la storia è più o meno come è accaduta.
🙂
Grazie di cuore.
poetella ha detto:
🙂
arsomnia ha detto:
Quando comincio i tuoi racconti sono sempre un po’ circospetta, perchè non so mai dove andrai a parare. Questo racconto m’ha tenuto in scacco per tutto il tempo. Alla fine ho riso con Fabio Gizzi, perchè per una volta Marco non ha bruciato nessuna femmina, bruciato – piuttosto – dal dubbio atroce. Certo, dev’essere stato terribile per lui 🙂
Grazie per questa bella lettura.
Ars
ioviracconto ha detto:
Ancora gli brucia, cara Ars, dopo i molti anni passati….
Nessuna nostalgia, per carità.
Il fatto è che la stupidità è uno di quei peccati che è più duro perdonarsi.
Grazie a te di esserci, da sempre….
.-)
eilidh ha detto:
Mi aspettavo quasi un finale diverso, che non si arrendesse così facilmente alle apparenze ma cercasse la verità fino in fondo…
ma non per un desidederio, come dire, di trasgressione possibile,
solo perchè ogni persona merita che si vada oltre, per una conoscenza più vera.
Ciao Tony, grazie dei passaggi.
ioviracconto ha detto:
Che dirti, Eilidh?
E’ probabile che il protagonista non sia andato oltre per non ferire con una reazione che non poteva prevedere.
O forse è a lei che è mancata un’ultima apertura rivelatrice, magari graffiante.
Fatto sta che è finito tutto così.
Grazie a te.
🙂
annamaria ha detto:
Bravissimo, ho tenuto gli occhi incollati allo schermo,
non mi aspettavo un finale così.
Complimenti!
un caro saluto
annamaria
ioviracconto ha detto:
Grazie Annamaria.
Forse nemmeno il protagonista si aspettava un finale del genere.
🙂
cristina bove ha detto:
i condizionamenti che portano a discriminare e distorcere perfino la normalità, deprivandola della realtà.
la perdita non è un mancato “incontro” sul piano fisico, ma un fallimento di rapporto sul piano umano.
come sempre bravissimo nella tua fluida narrazione.
ioviracconto ha detto:
E’ così come dici, Cristina. I pregiudizi ci si rivoltano contro, a volte, con un risvolto di ironia. Certo il fallimento di un rapporto umano è più bruciante di quello di un rapporto fisico, ma nella fattispecie della storia ritengo che i due tipi di rapporto fossero strettamente legati.
Sempre lieto che i miei scritti ti piacciano.
🙂
albafucens ha detto:
… è un bel po’ che non scrivo e leggo
il tuo è sempre un bel narrare, elegante e fluido, si legge che è un piacere 🙂
un caro saluto
ioviracconto ha detto:
Succede di interrompersi nella creatività letteraria, Albafucens. Ma poi si ricomincia, vedrai.
Grazie. Un sorriso…
dalmiogiardino ha detto:
Sempre bravo !
Anch’io non mi aspettavo il finale così 😉
Ciao Tony
ioviracconto ha detto:
Lieto di ritrovarti, Franca.
Grazie.
🙂
cicabubu ha detto:
L’apparenza inganna…
Ciao..sempre brava !
^^
ioviracconto ha detto:
Grazie Cicabubu.
Volevi dirmi “sempre bravo” ovviamente…
🙂
maryiagrazia ha detto:
Mi inchino.
Io un’imbrattatrice di pseudo-fogli
Tu un artista
Grazie
A presto
ioviracconto ha detto:
Credo che tu abbia esagerato, Maryagrazia.
Io non sono un artista e tu non sei un’imbrattatrice di pseudo-fogli.
🙂
germogliare ha detto:
Delizioso!
… quante cose buone della vita ci perdiamo per dare spazio al ragionamento…mannaggia!
sorrisi per te
ioviracconto ha detto:
Eh sì, Germogliare. Troppe esitazioni provocano troppi rimpianti.
Grazie.
flameonair ha detto:
Brano tuo che perfettamente ricordavo. Quanto si perde – a volte – per non riuscire a scommettere senza avere la certezza di vincere 🙂
ioviracconto ha detto:
Hai una buona memoria, Flame.
Per quello che mi riguarda (questi racconti) ne sono lieto e ti ringrazio.
🙂
aitanblog ha detto:
La storia ci insegna che, nel dubbio, bisogna lanciarsi e scoprire le carte.
ioviracconto ha detto:
….o magari scriverci su un racconto, Aitan.
🙂
Benvenuuto qui.
Domenica Luise ha detto:
È un bel racconto, scritto benissimo, dal quale si evince soltanto una cosa: ma perché non hanno chiarito questa cosa, visto che si piacevano così tanto? Capisco, tuttavia, come abbia giocato molto il turbamento.
ioviracconto ha detto:
Non tutte le carte si riescono a vedere, DomenicaLuise. Fosse solo finzione narrativa, tutte le opzioni sarebbero realizzabili, ma come avrai intuito la più parte della storia è vera, accaduta a chi poco importa.
A chi la scrive tocca solo la possibilità di introdurre delle varianti stilistiche.
Lieto che ti sia piaciuta, naturalmente.
🙂
Anna Maria Curci ha detto:
La chiatta donnina si è divertita assai . Opera meritoria, quella del creatore di Fabio Gizzi e del suo paradiso di orchi, donnette cannone, femmhommes fatal(e)s e bruciafemmine
ioviracconto ha detto:
Ecco un commento simpatico, Anna Maria.
Correggerei, soltanto in qualche taglia d’abito, il “bestiario” umano che tu hai citato con stringata arguzia: la donnina con la voce maschile non è chiatta, cioè una grassona secondo il dialetto partenopeo.
Ma è un dettaglio, ovviamente.
Grazie….:-))
Perla ha detto:
Splendido brano, un po’ commedia degli equivoci, di sicuro uno spaccato umano dove le insicurezze, insite nell’animo di ciascuno di noi, a volte hanno il sopravvento sugli istinti e sui ruoli.
La precarietà dell’apparire? Forse. Troppo si è detto e scritto su questo argomento anche se poche volte ha insegnato a… vivere.
Bentrovato, Tony
ps: mi muovo a fatica tra questi fogli virtuali, della mia piattaforma ancora non ho imparato come si risponde ai messaggi. Vorrei solo aggiungere… il tempo passa e forse la saggezza di “guardare oltre” è l’unico vero regalo che ci fa. Ciao 🙂
ioviracconto ha detto:
Leggendo i vari commenti e riflettendo, Perla, non ho potuto fare a meno di pensare che l’insicurezza che provoca un’esitazione, come accade in questo racconto, rivela nel rovescio il rispetto delle proprie abituali certezze, dei consueti percorsi di vita. Forse, inconsciamente, il protagonista, che amava spingersi fino “ai bordi del mondo conosciuto” non ha osato andare oltre, non ha rischiato di modificare la propria indole. Naturalmente c’è anche l’esitazione di fronte alla “diversità”, questa meno giustificabile.
Sono contento che ti sia piaciuto, così come sono contento di rivederti qui. Nel tempo che passa, come tu dici, si trova anche la saggezza di recepire al meglio i pregi e i difetti di questo mondo virtuale, di scansare i riflessi e le scialbature, per guardare solo le persone.
Tu sei una bella persona.
🙂
A presto.
AnimaTonda ha detto:
Grazie …
Oggi ho conosciuto una splendida penna [che sicuramente viaggia oltre le parole della narrazione]
A presto ☺
ioviracconto ha detto:
Grazie a te, AnimaTonda.
Io racconto quello che mi intriga, e quello che mi intriga è sempre in bilico fra ciò che mi affascina e ciò che mi tormenta.
🙂
frantzisca ha detto:
Non c’è solo l’incapacità di andare oltre, ma anche la paura dell’incognita, paura per non saper accettare l’altrui diversità…è comodo adagiarsi nelle consuetudini di ciò che conosciamo. Così si perde molto Marco, e non alludo ad un eventuale avventura, dopotutto avrebbe potuto essere ben altro.
Grazie per il tuo passaggio da me, felice di averti “letto”
frantzisca (con la voce da vecchio signore)
ioviracconto ha detto:
Molto chiara e condivisinile è la tua lettura del mio racconto, Frantzisca.
A presto.
🙂
rossella ha detto:
Complimenti, hai un bellissimo blog, sono andata a ritroso a leggere anche i racconti meno recenti. Scrivi da dio, e non parlo solo di stile, contenuti, capacità descrittiva. E’ che trasmetti, emetti vibrazioni percettibili anche a distanza. E’ come se la tua voce la conoscessi da tempo. Un caro saluto, grazie per essere passato da me
ioviracconto ha detto:
Naturalmente le tue parole mi fanno piacere, e molto, Rossella.
Aggiungo che il taglio di ciò che scrivo qui l’ho imparato poco a poco proprio frequentando i blog. Credo che tutti noi riusciamo ad emettere a volte, nel virtuale, delle vibrazioni che si percepiscono a distanza. Non è facile, poiché nel web si perde spesso il senso della misura, lasciandosi trascinare nelle finte cordialità reciproche o perdendosi nella diaristica autoreferenziale. . E’ un po’ come trovare lo scorcio giusto quando si guarda un quadro.
🙂
jussaraluna ha detto:
Ciao Antonio,
grazie per la musica bellissima!!
Sono stata un po ‘assente dal mio blog…
ma oggi io sono qui per leggere i tuoi bei testi.
Un abbraccio e un felice week-end :)) Jussara
ioviracconto ha detto:
Ciao Jussara.
Grazie a te. Buon inizio settimana.
Stefania ha detto:
Accidenti che incedere incalzaante, qui! che storia intrigante… Spero di non perderti di vista. ciò che hai scritto da me, mi ha picevolmente colpito e mi ha fatto arrossire…g r a z i e
ioviracconto ha detto:
E’ facile non perdersi di vista qui, Stefania. Basta affidarsi al link.
🙂
Grazie, per ciò che mi dici e per quello che scrivi.