Essere e divenire

 Entrai nel negozio di giornali e Roberto restò come al solito di fuori, troncando il dialogo. Benché rifiutasse da sempre di presenziare a quello che non lo riguardava provai la sottile liberazione che ci coglie quando qualcosa di insopportabile si avvicina alla nostra indulgenza.
Tornato in strada notai che si era spostato sul marciapiede opposto, con l’orecchio al cellulare. Di certo era sua moglie che gli dava le consegne del giorno e questo mi spinse a restare in attesa e lontano, non per rendergli lo sgarbo ma per evitare il consueto rituale dei saluti alla sua consorte, indirettamente fatti e ricambiati. Così a distanza potevo guardarlo, nel modo che di rado ci è consentito di usare, quando le persone e i sentimenti, le incombenze e gli oggetti ci stanno talmente vicini da andare fuori fuoco ed essere subìti con l’esausta pazienza con cui si procede in automobile, nella nebbia. Era dunque lì, finalmente in chiaro, quell’amico di infanzia, compagno di università e di eccessi giovanili, artista innato, parlatore forbito, seduttore talmente istintivo da farmi da apripista, negli anni in cui andavamo a caccia di ragazze, per la strada. Era lì, a tenere all’orecchio il cellulare con la posa distaccata della sua maturità, mormorando paroline dolci o di vuoto assenso alla moglie volpina. Gli guardai i diradati capelli in tinta di ruggine, il giubbino casual da borgataro, le scarpe alla moda col fondo convesso, che pare raddrizzino anche le schiene dei pusillanimi. Si voltò verso di me solo perché il dialogo con madama era finito e quando lo raggiunsi si affrettò a chiedermi una particolare cortesia.
“Ti andrebbe di accompagnarmi da Coin? Mia moglie ha visto ieri un giubbino molto bello, che la sua amica ha regalato al marito. Dovremmo solo affrettarci, poiché era in saldo e rischio di non trovare più la mia taglia.”
Più che affrettarci si mise a correre e io lo seguii per un centinaio di metri, prime di dirgli che a quell’andatura poteva proseguire la maratona da solo. A quel punto si calmò, anche perché il sudore gli sarebbe sceso dai capelli e non vi era certezza che la colatura fosse incolore. Del resto arrivammo presto a destinazione. Con la commessa usò l’abituale distacco cortese, vagamente effeminato, e in una decina di minuti tentò di infilarsi dentro un paio di giubbini, uno rosso fuoco e l’altro pastello, troppo stretti. Dovette richiamare sua moglie e subire i rimproveri che lei sapeva spalmargli addosso ad ogni occasione, a controllare che il morso fosse sempre tirato al punto giusto. Conclusa la frenesia dello shopping ci mettemmo a parlare di cinema, ma dopo che mi ero inoltrato nel sunto di un film che avevo visto mi resi conto che non aveva ascoltato neanche mezza parola.
“Ti dispiace se diamo un’occhiata ai libri delle bancarelle?” mi chiese, nel bel mezzo del piazzale della stazione.
“No. Mi dispiace di più che tu non stia a sentire, quando ti si parla.”
“Hai ragione. Sarà l’età.”
“Veramente hai sempre fatto così, e dato che gli amici si riconoscono nel momento del bisogno, ogni volta bisognava fartelo notare.”
“Con gli anni ti sei fatto mordace.” disse ridendo, finalmente presente, mentre negli occhi gli passava un guizzo della vecchia anarchia.
“Si vede che devo crescere, per arrivare ai tuoi anni, che sono più dei miei.” dissi.
Prese a guardarmi con più attenzione, a cercare un varco e uno spunto per rifarsi.
“Dovresti anche vestirti un po’ meglio. Qualche tinta più vivace ti accosterebbe di più alla primavera. E poi quei capelli brizzolati….”
“Tingere abiti e capelli coi colori adatti ad attraversare la strada senza pericolo, vuoi dire?”
Si arrese, ridendo, quando eravamo già arrivati alle bancarelle dei libri che, nascosti sotto i romanzi usati e i libri d’arte, offrivano al colto e all’inclito gli inesorabili dvd porno. Sapevo che sarebbe andato a parare lì e quando cominciò a rovistare mi scostai verso i libri di cinema e di viaggio, pensando al momento in cui non ce l’avrei più fatta ad accettare quelle debolezze, in nome del suo passato splendente vitalismo.  Ne uscì dopo una decina di minuti, con una busta piena di dvd.
“Ho preso qualche film porno.” disse.
“Vuoi intendere che è meglio guardarseli in casa da soli piuttosto che al cinema, dove se ti ecciti troppo sei costretto ad andare alla toilette per farti una sega a memoria?”
Mi guardò con un lampo di astuzia, pronto ad accettare la sfida del sarcasmo.
“Capisco il fatto che il peccato ti turbi.” disse.
“Il peccato, semmai, è che tu abbia bisogno di eccitarti in quel modo lì.”
“E tu come fai?”
“Quello che mi viene spontaneo, senza additivi chimici o multimediali.” risposi.
Mosse le labbra per replicare e subito desistette, guardando in basso, a raccogliere un nuovo spunto.
“Lo sai che sono stato in uno di quei centri di massaggio tailandese?”
“Per la tua cervicale?”
“Per ben altro, amico mio. Certamente si occupano anche di cervicale e mal di schiena, ma se tu chiedi un massaggio romantico….”
“Ti  toccano col sottofondo dei Notturni di Chopin?”
“Ma dai che hai capito. Insomma è un massaggio erotico. Nessun rapporto completo, beninteso. Una magnifica masturbazione.”
“Interessante.” io dissi, e lui capì tutt’altro, assumendo un’euforica espressione di complicità.
“Vogliamo andarci insieme, adesso? E’ qui vicino.” propose.
“Interessante sociologicamente, intendevo. Offrono sesso soft, senza complicazioni infettive. Anche se ci fosse un’irruzione della polizia farebbero in tempo ad allestire la messinscena del massaggio terapeutico.”
“Vuoi dire che non ti eccita la trasgressione?”
“Nemmeno se mi pagassero loro.”
“Ma fammi il piacere. Vuoi darmi ad intendere che in tanti anni di matrimonio non hai mai fatto una scappatina?” disse, alzando la voce, senza avvedersene proprio vicino a un prete, che si voltò di scatto, chissà se scandalizzato o interessato.
“Eppure eri normale, da giovanissimo.” aggiunse.
“Anche tu.”
Stavolta non rise, ma nemmeno si arrese del tutto.
“Avrai certo avuto le tue tentazioni, in questi anni.” disse.
“Se ne ho avute, erano donne normali, non prostitute, e ogni volta, desistendo, ho pensato al primo sguardo che avrei dato a mia moglie, dopo.”
Lui scosse la testa, quasi la costernazione per me gli imponesse un pietoso silenzio, ma presto si ricordò di essere un affabulatore.
“Il matrimonio è un contratto, uno dei tanti, amico mio. L’importante è rispettarne le forme, poiché nella sostanza la passione fisica finisce dopo qualche anno.” disse.
“Certo a finire è la passione immediata, quella del tutto animale. Sparisce la quantità, ma rimane la qualità, per quelli che la sanno coltivare.” risposi.
“Sacrificio e dedizione.”
“Amore, più che altro. Ma quello bisogna provarlo davvero, così come l’amicizia, per accettare le parti peggiori del nostro divenire.”
Mi guardò, serrando le mascelle, e io pensai fosse tentato da un insulto decisivo, o addirittura pronto alla lite clamorosa. Con un gesto deciso si mise invece a rovistare nella busta, tirando fuori uno dei dvd, che vantava le prestazioni mirabolanti di un nano, baloccato da quattro donne.
“Prendi questo. – disse – Puoi vederlo anche tu. Come hai notato dalla foto in copertina non è vietato ai minori.”
Rifiutando l’offerta sorrisi di quel rigurgito della sua passata ironia, forse l’ultimo prima di cedere del tutto al vivagno melenso e lasciarmi a resistere, da solo, con la riga dei capelli, e non solo quella, a sinistra, e la decenza quotidiana della ragione.